Gli operatori del settore alimentare, a vario titolo e tipologia di impegno (dai produttori agli addetti al controllo di stato) sono quotidianamente impegnati a dirimere problematiche in tema di campionamento: ma non basta riferirsi a norme pubblicate in tema di “preparazione del campione” per assolvere in modo soddisfacente alle incombenze molto differenziate che si presentano in vari settori ed a diverso titolo nell'operazione di campionamento. Questa nota è rivolta a quanti sono interessati alla conoscenza più larga possibile in tema di “molteplici funzioni conseguenti al tipo di campionamento sia in campo commerciale che analitico”.
Occorre in primo luogo definire il significato corretto di “campione”: troppo spesso viene infatti definita “campione” un’entità singola, che in termini corretti non può se non invece considerarsi “aliquota” di prodotto. Prelevare un campione significa invece prelevare una massa di prodotto che rappresenti una più grande quantità di una merce rispetto a quella costituita da una unità detta “aliquota”. In pratica, un campione che voglia essere denominato tale e che si possa considerare rappresentativo di una “partita” deve essere costituito da più unità di massa della stessa merce, unità che si denominano come “incrementi”. Solo prelevando più incrementi (cioè più sottocampioni da una partita) è possibile produrre un vero e proprio “campione”: quest’ultimo viene di fatto rappresentato dall'insieme degli incrementi, oppure da più aliquote dedotte da un “campione composto” ottenuto da un insieme di incrementi.
Ottenuto un vero e proprio “campione” per miscelazione di più incrementi, è possibile suddividerlo di “aliquote”, ognuna delle quali può ritenersi, con una certa probabilità ma non con assoluta certezza, rappresentativa della merce di cui si vuol produrre campione. In altre parole, la rappresentatività di una merce è soggetta, in principio, alla considerazione che essa è costituita da una serie di aliquote, non da una soltanto delle aliquote. Questa affermazione trova conferma di verità nel fatto che un’irregolarità riscontrata su un’aliquota (che per semplificazione, come detto prima, si definisce spesso erroneamente come campione) conduce generalmente a doverne considerarne un’altra, che potrebbe non presentare la stessa anomalia ed a cui si finisce per dare credito.
Il dare per buona in via definitiva la rappresentatività di una sola delle aliquote costituenti un campione è operazione concettualmente scorretta, allo stesso modo come è scorretto eseguire una sola analisi e considerare rappresentativo l’unico risultato ottenuto.
Troppe volte la denominazione di “partita” attribuita ad una merce non deriva da una attenta considerazione di quanto avviene nella realtà della produzione. Non sempre la massa di una merce, pur consegnata e rappresentata attraverso un unico documento di consegna, risponde nella sua totalità a garantita uniformità di caratteristiche analitiche e ciò in funzione del fatto che quella che per semplicità si è definita “partita” può esser derivata da più “lotti”, solo nel'ambito di ognuno dei quali è di fatto possibile garantire uniformità di composizione. L’esempio di una tal situazione è quella identificabile con una produzione di biscotti, ottenuti con unica formula di produzione, ma di fatto prodotti attraverso due o tre successive “miscele” di materie prime, derivate da team differenti di operatori di fabbrica che si sono susseguiti pur su unica linea produttiva ma in turni di lavoro differenti. Tale situazione è classicamente quella di una consegna dichiarata con superficialità essere costituita di un’unica partita, ma di fatto rappresentabile da un insieme di “lotti” differenti. In tal caso l’uniformità di principio produttivo è sì rispettata ma solo se non si tiene conto della manualità adottata nella produzione pur meccanizzata di impasti successivi oltre che delle modifiche estemporanee operate nella conduzione del forno continuo/discontinuo di cottura.
La necessità di classificazione in lotti differenti è poi inevitabile nel caso in cui le stesse materie prime che hanno originato un prodotto finito appartengano a lotti a loro volta differenti, pur non essendosi realizzata alcuna diversa condizione nella linea produttiva. In tal caso è il singolo “lotto” a necessitare di prelievo di frazioni da considerarsi “incrementi”: da questi si produrrà un campione composto dal quale estrarre una frazione di massa da cui infine produrre un campione, formato anche in questo caso da differenti aliquote.
Analogamente, un lotto può di fatto essere derivato da vari “batch” produttivi ognuno dei quali è caratterizzato da uniformità di condizioni di produzione che possono anch'esse non essere in principio necessariamente identiche per tutti i batch dello stesso lotto. Con ciò si esprime un concetto-base: lotto e batch non si possono considerare sinonimi.
Quanto prima espresso vale sia per merci trasformate che per merci di singola natura: grano, orzo, segale, farro, ecc., producono sfarinati derivati ad esempio per i quali l’operazione di campionamento necessita di attento esame preliminare ed attenta scelta delle condizioni e dei mezzi di prelievo sia ai fini di una valutazione commerciale in sede di acquisto-vendita che in sede di analisi dirette alla verifica di qualità e rispondenza a caratteristiche attese. Attività troppo spesso condotte in modo semplicistico in sede di campionamento possono rendere assolutamente inutile il controllo analitico conseguente per non rappresentatività del campione consegnato in analisi. Un laboratorio analitico che si comporti all'unisono con le necessità produttive e di acquisto deve quindi intervenire in autonomia nel prelievo, e con vera competenza operativa, al fine di dare significatività alla conseguente analisi chimica, reologica, o microbiologica.
L’attenzione per la significatività dell’oggetto di analisi è ciò che contraddistingue la qualità dei laboratori chimici di autocontrollo che operano anche con precise finalità nelle contrattazioni merceologiche: devolvere l’incarico di campionamento in fase di contrattazione d’acquisto di materie prime è operazione che finisce per costituire garanzia di continuità nella produzione e fidelizzazione del consumatore di ogni derrata.
I settori che più risentono del fattore qualità nell'approvvigionamento delle materie prime sono quelli del dolciario, dei derivati a base di carne e delle paste ripiene, dell’industria ittica, delle bevande alcoliche ed analcoliche, della birra e nel settore della nutraceutica. Gli interventi di campionamento in fase di fornitura di materia prima sono inoltre essenziali nel settore dei derivati del latte e quindi dei formaggi e derrate a questi riconducibili.
Un accenno particolare dovrebbe esser fatto alle problematiche legate al controllo di inquinanti nelle derrate: a causa della dispersione non uniforme di molti inquinanti (micotossine, fitofarmaci, residui di antibiotici, PCB, ed altri), i piani di campionamento devono seguire prassi non comuni di operatività, ai fini della sicurezza alimentare. Non è assolutamente raro il caso in cui si rilevi inesistente o inconsistente il carico inquinante in derrate campionate erroneamente e per le quali non si è tenuto conto dei fattori di probabilità in fase di prelievo: la stessa problematica sussiste per la valutazione analitica/microbiologica di prodotti alimentari per i quali sussista un dubbio di deteriorabilità e ovviamente nei casi in cui si tratti di prelievi da effettuare su alimenti dichiaratamente deteriorabili. Importante è non solo ritenere opportuno il campionamento di un numero significativo di aliquote, ma anche l’intervento dell’esperto per l’identificazione più corretta del rischio: il rischio più evidente, dal punto di vista statistico, è quello derivante dalla imperizia di campionamento. L’imperizia conduce troppe volte a semplificazione che si è spesse volte indotti a fare nella individuazione dei lotti di merce che per storia produttiva possono presentare situazioni critiche, molto imprevedibilmente differenziate nell'ambito di una stessa partita.
Negli ultimi anni trascorsi, gli organismi di controllo hanno pubblicato linee-guida abbastanza differenziate per il campionamento di derrate diverse: l’intervento dell’esperto in settore campionamento, in forza alle aziende di autocontrollo, può risultare insostituibile perché vengono in tal modo adottati criteri di prelievo-campioni che fanno giusto e competente riferimento alle linee guida pubblicate da organismi preposti alla salvaguardia della sicurezza alimentare. Spesso i criteri di campionamento sono sensibilmente differenziati per prodotti e materie prime come quelle spontaneamente soggette ad inquinamento da micotossine (frutta secca, mangimi, cereali, sementi, ecc.), per il campionamento di oli di oliva sfusi in imballaggi di larga dimensione, per frutta e verdure in GDO.
L’uso di strumentazione adeguata può produrre più opportuno incremento di significatività nel prelievo di derrate vegetali sfuse, mentre la conoscenza di tecniche di prelievo adeguate può influire non poco nel migliorare la significatività di campionamento nei controlli di produzione in linea.
In sede di controllo analitico destinato alla verifica della rispondenza a normative di legge previste per i prodotti alimentari, il campionamento assume un significato di particolare importanza: quando nel campionamento si rilevano operatività irregolari o adozione di criteri che producono dubbi nella significatività (o rappresentatività) delle aliquote costituenti un campione, o anche irregolarità nella stesura del verbale di prelievo, risulta non solo possibile contestare un risultato analitico dedotto da campione prelevato irregolarmente, ma è lecito dichiarare illegittima anche la stessa operazione di svolgimento di un’analisi prodotta da autorità ufficialmente preposta al controllo. Nei casi di prelievo effettuato da autorità, oltre che nei casi di prelievo effettuato da personale di parte, il mancato rispetto di norme adeguate di conservazione e trasporto delle aliquote di un campione deperibile, può rendere formalmente nullo il risultato di un’analisi. Altro caso di contestazione lecita di un risultato analitico è quello che corrisponde alla circostanza secondo la quale un campione venga prelevato in quantità non congrua per la produzione di aliquote significative: quantità in peso inferiori a determinati valori non consentono di produrre aliquote di significato statistico probante, e rendono inefficiente il campionamento.
Le normative sulle modalità di campionamento sono ben note ai laboratori analitici che svolgono analisi di autocontrollo: produttori e distributori di materie prime e di prodotti finiti è bene sottopongano campioni delle merci prelevati in modo assolutamente rappresentativo, al fine di evitare di inficiare anche il significato di operazioni di autocontrollo. In tal senso la preliminare consulenza degli esperti di laboratorio può essere utile ad evitare di far svolgere operazioni analitiche che potrebbero risultare prive di significato ad ogni effetto e compromettere il valore di necessari piani di campionamento.
Si ricorda infine che particolare attenzione deve essere posta proprio nella redazione di piani di campionamento: un piano di autocontrollo deve tener conto della effettiva probabilità di identificare le pecche produttive in tempi adeguati, e ciò comporta una frequenza non molto dilazionata delle scadenze in corrispondenza delle quali occorre ripetere i campionamenti. Una particolare attenzione va posta dunque nel definire piani di campionamento che consentano l’identificazione a tempi brevi di irregolarità produttive imprevedibili conseguenti non solo a operazioni tecnologiche e di conduzione aziendale ma che siano comunque dimensionate alla probabilità di impiego di materie prime inadeguate agli standard produttivi.
La definizione dei piani di campionamento è, in conseguenza di quanto espresso prima, operazione da svolgere con il contributo di esperienze degli esperti di laboratorio analitico.
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